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Capua è un centro urbano notevole dell’entroterra campano ed occupa, nella millenaria storia della Terra di Lavoro, un posto preminente per le sue qualità architettoniche, artistiche ed ambientali.

Una straordinarietà di opere – che vanno dall’età romana all’Ottocento – punteggia, infatti, il suo stratificato tessuto di palazzi e giardini, di chiese e conventi, di castelli e caserme, racchiuso in un’ampia ansa del fiume Volturno e in una possente murazione bastionata cinque-settecentesca.

 

Le fortificazioni, oltre a conferire all’insediamento urbano una forma parzialmente stellare protesa verso l’esteso territorio circostante a prevalente investimento agricolo, ricordano la sua funzione militare di “antemurale del Regno di Napoli” anche durante il viceregno austriaco (1707-34).

Sulle rive del Volturno – là dove in precedenza fu attivo il borgo denominato Casilinum (così indicato anche da Tito Livio) collegato, a mezzo di un ponte, alla consolare Appia strada di grande comunicazione con Roma e Brindisi – gli antichi capuani misero in forma la loro vita con gusto di plasticità arcaica che, dalle origini autoctone (V sec. a.C.), andò poi gradualmente trasformandosi in romano: qualità dell’immagine urbana, questa, che si ritrova diffusa nelle strutture e nelle cortine murarie di numerosi edifici civili e chiese.

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I primi abitanti, di origine etrusca, latina e longobarda, provenivano da Sicopoli (in onore di Sicone principe di Benevento), piccola città, eretta intorno all’841, presso le sorgenti di Triflisco su una altura del monte Palombara (attuale territorio comunale di Bellona) che domina la pianura campana e buona parte della vallata in cui scorre il Volturno.

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Abbandonata Sicopoli, a causa dei numerosi incendi che la rendevano non idonea alla difesa, la comunità fondò, nell’856, in appena due anni di lavoro, Capua nova ricordando così l’altra Capua, l’attuale Santa Maria Capua vetere, che pur aveva lasciato a seguito delle distruzioni subite dalle orde saraceni che nell’841.

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Per la nuova città sul Volturno – quella che ancora oggi, malgrado le numerose perdite, conserviamo nel suo stratificato tessuto storico-artistico – venne utilizzato parecchio materiale di spoglio tratto dalle antiche fabbriche romane abbandonate, presenti in gran numero sul territorio e in particolare nell’antica Capua: peculiarità questa che al di là delle pratiche esigenze dettate anche dal facile utilizzo sia del materiale per la difesa del sito e la immediata delimitazione dell’insediamento urbano, induce a riconoscere nella comunità capuana un particolare gusto per le opere plastiche e la secolare favorevole accoglienza dell’attività di lapidici, di maestri di muro, di architetti, di artisti provenienti da ogni parte d’Italia e dall’estero.

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Nella struttura urbana di Capua si possono leggere l’impianto longobardo – che raggiunse il suo completo sviluppo viario ed edilizio tra la fine del secolo XI e la metà del seguente – e gli ampliamenti ed edificazioni dei successivi periodi di dominazione normanna (1062-1195), sveva (1196-1265) e angioina.

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Del primitivo nucleo longobardo va ricordata la Torre campanaria eretta nell’aprile dell’861 dal conte Landone, accanto al palazzo episcopale ed alla cattedrale (856 ca.): il complesso, che i cronisti indicano come “Castrum episcopii”, formava un nucleo fortificato ed un nucleo di difesa dei conti e vescovi capuani.

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Com’è frequente nei centri medievali, la torre campanaria svolgeva anche un ruolo nel sistema difensivo del piccolo nucleo urbano oltre che rappresentare un emblema della comunità che sulla canna muraria volle infiggere protomi asportate dall’anfiteatro adrianeo della Capua Vetere. Si perpetuava così il sistema delle “crustae”, ricorrente già nell’edilizia imperiale romana, adatto a trasferire i simboli del glorioso passato dall’antica alla nuova Capua sul Volturno. Tradizione che ritroviamo ancora viva nelle successive opere pubbliche, tra cui i riferimenti più noti sono il Castello delle Pietre di età normanna e la porta urbica federiciana (1239).

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Un documento di età angioina è il Palazzo Fiermosca, un vero e proprio palinsesto di architettura con tracce di età longobarda e rinascimentale oltreché aggiunte ottocentesche. Del palazzo, sebbene siano difficilmente leggibili le originarie distribuzioni interne, sussistono tuttavia inequivocabili segni dell’antico splendore specie nei paramenti e nei particolari decorativi modellati nella pietra locale, un tufo pipernoide di colore grigio cenere. Testimonianze di un gusto che arricchirà il volto di tutta la città soprattutto in età rinascimentale allorché il trono di Napoli passò agli aragonesi che diedero notevole impulso al rinnovamento edilizio pubblico ed ecclesiastico ed al restauro delle porte urbiche e dei Seggi nobiliari.

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Per le presenze architettoniche e tettoniche è notevole, infatti, il sessantennio aragonese (1442-1503) di cui restano numerose testimonianze. E dobbiamo qui rilevare che in Capua non vi è strada che non mostri un portale, un capitello o una finestra a testimonianza dell’adesione ai modi dell’arte catalana – incentivata nel regno soprattutto da Alfonso il Magnanimo, il primo dei sovrani aragonesi – ovvero al linguaggio rinascimentale formulato dalla scuola toscana.

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Ciò dimostra la partecipazione culturale al rinnovamento edilizio ed architettonico della città, quasi sempre coinvolta in precedenza nei sanguinosi eventi politico-militari soprattutto a causa della sua peculiare posizione territoriale oltreché della su funzione di piazza-forte militare che la ponevano al centro degli scontri tra gli eserciti delle opposte parti per la conquista della capitale del Mezzogiorno. Delle successive stratificazioni va ricordata la fase cinquecentesca allorché la città, nell’età del viceregno spagnolo – venne dotata di un possente castello (detto di Carlo V che ne promosse la costruzione) – eretto tra il 1542-1552 su disegni degli architetti militari Giovan Giacomo dell’Acaya e Ambrogio Attendolo, oltreché di una complessa cinta di mura bastionata che, oltre a richiamare alla mente le maggiori esperienze di architettura militare del secolo, colloca l’insediamento tra i più importanti centri fortificati della Campania. E qui va ricordato che Capua piazza-forte del vicereame spagnolo fu, a partire dal 1720, notevolmente rafforzata dagli austriaci che consideravano la città sul Volturno un centro militare notevole per la difesa del Regno di Napoli.

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L’ambiente urbano è anche punteggiato da costruzioni tardo seicentesche; una fase questa che, come per Napoli legata all’evoluzione del regime politico (il passaggio del viceregno al regno indipendente con Carlo di Borbone), determinò, anche per Capua, una nuova dimensione urbana e ripetuti ed estesi interventi di rinnovamento e rifacimento delle maggiori fabbriche religiose e militari; sicché, oggi, la lettura del contesto urbano è resa più difficile e talora lacunosa, proprio dalla presenza di palesi trasformazioni ascrivibili al XVIII, per tacere, poi, delle manipolazioni ottocentesche e successive. In questi ultimi cinquant’anni numerose sono state, purtroppo, le perdite causate dal conflitto bellico (soprattutto nel 1943 a seguito di bombardamenti aerei), dagli eventi sismici (1980) e dal degrado che – per cause diverse – ha colpito più parti dell’agglomerato storico (soprattutto caserme e conventi).

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Malgrado la perdita di immagine, la città storica presenta ancora oggi la vivacità e l’originalità di un ambiente urbano pressoché compatto, autentica piccola «capitale» dell’entroterra campano.

E ciò sin dal suo primitivo impianto e dall’iniziale sviluppo, se è vero che tuttora possono riscontrarsi le persistenti caratteristiche residenziali, mentre l’aulicità del contesto è viepiù accresciuta dalla presenza ininterrotta sia della sede vescovile (dal 966, per volere di papa Giovanni XIII, sino a tutt’oggi), sia dei complessi a carattere militare. A Capua, infatti, si fondono mirabilmente palazzi e spazi verdi (con giardini pensili) chiese e conventi, caserme e fortificazioni; testimonianze tutte conseguenti ad iniziative di grande importanza storica e ad espressioni culturali di nobile livello, sebbene sovente frutto di importazione, di personalità e di prodotti artistici, dai centri maggiori. Supporto propulsivo all’introduzione dall’esterno fu una comunità produttiva, favorita dalla posizione strategica dell’insediamento, il cui tessuto architettonico conferma il protagonismo locale presentando altresì una qualificazione artistica pari alle corrispondenti espressioni presenti in Napoli.

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Il centro urbano di Capua, unitario nella sua articolata configurazione, si snoda su una maglia di strade sostanzialmente parallele tra loro, gerarchizzate rispetto a tre principali assi di scorrimento, di cui uno – la via Appia – rappresenta la strada di grande comunicazione con Roma e Napoli.

Il primo asse viario prende inizio da Porta Napoli, attraversa la città e giunge, dopo aver attraversato il ponte, alle Torri di Federico (Porta Roma) sulle quali campeggiava la statua marmorea del sovrano svevo che ne volle la costruzione.

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Oggi la strada prende il nome di Corso Appio perché segue all’incirca il tracciato della consolare via Appia e presenta, lungo il suo tracciato, la piazza dei Giudici su cui è sito il Municipio. La seconda antica strada maggiore che taglia in due parti il tessuto edilizio, inizia dal Campanile della cattedrale, accanto al castrum episcopii e termina al monastero di Santa Maria delle Dame Monache Benedettine. Sorgeva su questa strada – denominata via Gran Priorato di Malta – il palazzo dei «principi longobardi» (sec. X), di forma quadrilatera con quattro torri angolari, un’area pressoché compresa tra l’attuale via Principi Longobardi, vicolo Camillo Pellegrino e via S. Michele a Corte. Intorno all’area del palazzo dei principi sono site le tre chiese longobarde che, per l’attributo ad curtim vanno ritenute «palatine»; tutte ascrivibili ai secoli X e XI: San Salvatore, San Michele e San Giovanni.

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Il terzo asse viario, l’attuale via Roma, prende inizio dal largo del convento francescano di S. Caterina (eretto sul volgere del XIV secolo) per terminare, in linea retta, poco oltre l’attuale via Abenavolo (a ricordo di uno dei tredici cavalieri, insieme ad Ettore Fieramosca, della disfida di Barletta). Ai due estremi di essa vi erano ad oriente la porta S. Angelo e ad occidente Porta Fluviale.

 

L’arteria, di maggiore ampiezza e sviluppo in lunghezza rispetto alle altre citate, assorbiva con tutta probabilità il maggior traffico commerciale della città, anche per la presenza di impianti molitori siti sul Volturno. Anch’essa presenta lungo il suo percorso chiese, palazzi patrizi e giardini, questi ultimi per lo più distesi verso il fiume,e tra l’altro, il complesso residenziale degli Antignano-Di Capua che, dall’Ottocento, è sede del Museo Campano.

Nel palazzo (1450-54), adattato progressivamente alla nuova destinazione museale, trovò collocazione, sin dal 1874 – anno dell’apertura al pubblico – il ricco materiale storico-artistico, tutto proveniente dal territorio della Terra di Lavoro e da Capua.

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Tra le fabbriche rinascimentali di Capua, il palazzo Antignano-Di Capua è da considerare l’opera paradigmatica per la storia della città in età aragonese, per i personaggi che ne ebbero dimora (Alfonso il Magnanimo, Carlo di Borbone, Lucrezia di Alagno) e per gli artisti che prestarono la loro opera tra cui Pere Johan, architetto e scultore catalano.

Questa piccola città dell’entroterra campano nel 1818, per volontà di Re Ferdinando I di Borbone, perse la prerogativa di capoluogo, prerogativa passata a Caserta; dopo l’Unità d’Italia fu obliterata delle sue funzioni di piazzaforte militare, ma rimane pur sempre una perla architettonica in un rilevante ambiente naturale, ovvero in un paesaggio in cui natura e cultura (che ha visto protagonisti e partecipi delle sue vicende artisti campani, toscani, iberici, sovrani e baroni, religiosi e la comunità stessa), si fondono mirabilmente.

 

 

*estratto da C. ROBOTTI, Palazzo Antignano e l’architettura rinascimentale a Capua, Napoli 1983)

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